L’esperienza di Simone Gandolfo nel mondo del cinema e dell’audiovisivo è sfaccettata e varia. Dopo aver fatto l’attore e aver studiato regia negli States, è oggi una delle anime di Macaia Film, una casa di produzioni video che si occupa di tutto ciò che riguarda il supporto e i servizi di produzione, per esempio la ricerca delle location, il casting per gli attori, la gestione del set e della troupe, il noleggio del materiale tecnico, la post-produzione audio e video e una serie di aspetti decisivi ma non sempre sotto i riflettori. Insieme a Simone Gandolfo abbiamo dunque chiacchierato del mondo sfaccettato della produzione per scoprirne un po’ di più.
Simone, partiamo dal tuo percorso: hai fatto molte cose e attraversato varie professione del mondo cinematografico, come ci racconteresti il modo in cui si è arrivato fin qui?
«Ho iniziato facendo l’attore, anche con buoni risultati, e poi nel 2009 sono andato a studiare a New York dove sono stato per un po’ di tempo. Alla New York Film Academy ho studiato produzione e regia, ho iniziato così una carriera con un percorso da regista, ho fatto un paio di film e delle serie documentarie, e un po’ di altre cose. Però dopo essere tornato da New York è accaduto quel che accade negli States, dove è abbastanza normale che un regista o un attore abbiano la propria società. Ho incontrato un vecchio amico di infanzia, Manuel Stefanolo, e abbiamo fondato insieme Macaia Film: dal 2010 sempre più, progressivamente, la nostra attività si è incentrata sulla produzione».
Cosa significa fare il produttore?
«Quello della produzione è un mondo un po’ sconosciuto… Non è più come, nell’immaginario comune, il produttore degli anni Settanta ha un budget e lo investire: il produttore non è solo quello, è un talent scout che trova storie che possano incontrare il gusto del mercato, talenti che si possano sviluppare, registi che possano girare queste storie, e che mette insieme la troupe e trovare i finanziamenti per realizzare tutot quanto. In Macaia Film da dieci anni facciamo sempre più questo tipo di attività, e poi lavoriamo per altre società, io come live producer, colui che generalmente si occupa della parte gestionale, Manuel come amministratore generale, colui cioè che si occupa di far quadrare i conti. Lavoriamo insieme e separati, questo è un po’ quello di cui ci occupiamo».
Se un giovane ti chiedesse come si fa a diventare produttore, che cosa consiglieresti?
«Per fare i produttori bisogna conoscere molto bene tutti gli aspetti di questo mondo: bisogna essere curiosi, non avere paura di lavorare trenta ore al giorno e essere caratterizzati da un giusto mix di spericolatezza e piedi per terra. E poi avere l’istinto, e da lì svilupparlo: non è un talento e come tutto va sviluppato, è un seme che puoi avere oppure no, ma va coltivato».
Quello del produttore è un mestiere che sicuramente presenta difficoltà e ostacoli, quali sono gli aspetti più complessi che si possono incontrare?
«Le parti più complesse sono sempre quelle legate alle relazioni umane: hai a che fare con settanta, cento, centocinquanta persone contemporaneamente, a seconda del progetto, e devi trovare il modo di farle andare tutte d’accordo. In un ufficio un team di lavoro ci mette due anni per andare a regime, ma tu hai una serie televisiva magari per cui a disposizione hai solo quindici giorni e quindi tutti devono andare d’accordo fin da subito, altrimenti… la barca va a schiantarsi contro gli scogli! La parte delle relazioni è al sessanta per cento simile a quello che potrebbe fare uno psicanalista! Tutto questo va naturalmente associato al fatto che tu hai un budget e devi stare in quella cifra facendo il lavoro migliore possibile. È come un direttore d’orchestra: di coloro con i quali lavori ognuno ha il diritto di sentirsi solista, ma sei tu che devi capire che in quel momento è meglio se si senta il flauto, la batteria o la chitarra. Non è sempre facile e scorciatoie non ce ne sono!»
Al contrario, però, sicuramente ci sono soddisfazioni ed entusiasmi…
«Certo, per esempio due anni fa un film che abbiamo prodotto, Io sono Vera, che ha girato i più importanti festival del mondo, è finito in Cile. E insomma, quando vai a Santiago del Cile e lo vedi proiettato lì… è bello!
Ci sono fatti bizzarri, curiosi e divertenti nel tuo e nel vostro lavoro?
«Le cose bizzarre sono all’ordine del giorno, rispetto a questo tema per esempio è capitato di dover girare con una comunità di indigeni che non aveva contatti con il mondo occidentale, e io sono dovuto andare davanti al consiglio dei saggi e stare in assemblea mentre loro consultavano gli spiriti per capire se avevamo una buona onda o no!»
Qual è la giornata tipo del produttore?
«Quando ti svegli devi pensare ai fusi orari: da te è mattino ma in India no, per esempio, quindi devi stare attento agli orari, poi apri la posta e trovi le consuete cento mail da leggere, ma prima c’è bisogno di un caffè! La giornata quasi sempre è un susseguirsi continuo di cose da fare e tu devi stare dietro a un tuo programma che varia continuamente e al quale ti devi per forza di cose adattare, cercando di tenere tutto insieme».
Di cosa ti stai occupando ora, e cosa c’è nel futuro?
«Al momento mi sto occupando di una serie televisiva che gireremo tra Genova, Finale Ligure e Sestri Levante, il mio socio Manuel sta lavorando su altri progetti e saremo impegnati così fino all’autunno. Nel futuro un po’ meno prossimo però ritorneremo a lavorare insieme con qualche progetto internazionale che stiamo mettendo insieme».