Netflix: Questione di sostenibilità, o c’è dell’altro?

Sarà capitato anche a te: condividere l’account di Netflix con amici, cugini, o persone con le quali veniva comodo dividere i costi dell’abbonamento, o semplicemente alle quali ti faceva piacere dedicare il favore. Ora la policy della più nota piattaforma di streaming online è cambiata, e così le regole sulla condivisione della password e i piani tariffari proposti. Questione di sostenibilità, o c’è dell’altro? Ripercorriamo il fenomeno insieme. 

Era marzo 2023 quando Netflix annunciava il cambiamento implementato poi nel mese di maggio, e cioè: 

  • Gli abbonamenti con account condiviso dovranno fare riferimento a un unico nucleo familiare che usi lo stesso indirizzo IP
  • Il costo mensile varierà, e saranno aggiunte pubblicità per chi ha un unico account

“L’account Netflix è destinato a un unico nucleo domestico, ovvero a te e a chi vive con te” diceva la mail inviata agli abbonati. Chi vive con un abbonato, e usa la stessa rete. Regole che intaccano in modo evidente le abitudini di fruizione. Ma se si hanno amici, parenti lontani, se ci sono di mezzo rotture di coppia? Tutto risolvibile per la piattaforma: o si crea un nuovo profilo, quindi un nuovo “nucleo domestico”, oppure si utilizza la funziona “aggiungi utente”, ma l’azione costa. Per l’esattezza 4.99 euro al mese, a carico di chi sottoscrive l’abbonamento. Nessun cambiamento per i prezzi, se non che con il piano Standard sarà possibile aggiungere un solo utente in più, due con il piano Premium.

In che modo l’azienda capisce che un utente è o meno collegato alla rete familiare? Tramite l’indirizzo IP, per questo Netflix ha invitato a verificare i dispositivi collegati all’account attraverso un apposito link con cui “togliere” chi non facesse parte del nucleo familiare. Un altro dettaglio interessante è che Netflix continuerà a considerare una connessione primaria associata a un account solo guardando almeno un contenuto ogni 31 giorni con uno dei dispositivi collegati. Se, infine, ci si collega da un dispositivo fuori casa, sarà inviato un messaggio di verifica al titolare dell’account. 

Di fronte a uno smisurato ventaglio di contenuti di ogni tipo, costantemente aggiornati a un folle ritmo che sta causando anche ingenti problemi ai lavoratori del settore, le piattaforme hanno sempre proposto i loro prodotti a pagamento, senza disturbo pubblicitario.  “Più di 100 milioni di famiglie condividono il loro account, il che influisce sulla nostra capacità di investire in grandi film e serie TV” si leggeva in un comunicato di febbraio 2023 dell’azienda. Si può quindi pensare che la scelta di impedire la condivisione degli account, o meglio di renderla più complessa, controllandola in modo più stringente, sia stata fatta per motivi di sostenibilità aziendale: Netflix non solo acquista serie, ma le produce, il che implica una maggior forza di investimento. Forza ripagata: Netflix resta la piattaforma di maggior successo attualmente in circolazione. 

L’operazione sugli account appare però una sorta di forzatura di abitudini condivise che si lega a logiche di produzione e che ha il mero scopo di costringere gli utenti utilizzatori a pagare una quota: non si scappa, insomma, l’era delle condivisioni a cuor leggero sembra proprio finita. E se fosse arrivato il momento di ripensare seriamente alle nostre abitudini di utenti di prodotti audiovisivi inserendole in un contesto storico cambiato radicalmente negli ultimi anni? Cosa potremmo raccontarci di noi, della nostra dieta mediatica, del marketing e del sistema di intrattenimento dentro al quale viviamo e dal quale, forse, siamo anche un po’ assoggettati?

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Video on demand: un successo crescente e variegato

Non un nuovo media, non nuovi linguaggi, ma nuovi canali. Se video didn’t kill the radio star, nemmeno internet sembra avere intenzioni bellicose nei confronti del linguaggio del video e delle tv. La guerra, casomai, è quella che il proliferare di servizi on demand che sfruttano la rete sta facendo alla vecchia cara televisione installata davanti al divano in salotto. 

I dati raccontano di un tempo sempre più esteso dedicato al consumo di video su dispositivi e piattaforme di intrattenimento, e sempre più numerosi sono anche i servizi, a cui corrisponde una curva crescente di abbonamenti. Il report di It Media Consulting prevede una crescita stimata a circa il 12% per il video on-demand tra il 2021 e il 2024, cifre che portano con sé i dati di una netta riduzione delle sottoscrizioni alle classiche pay-tv. 

Fuori dal tempo e dallo spazio

La rivoluzione è tutta qui: nei tempi e negli spazi. Ed è proprio su questo notevole cambio di passo rispetto al modo classico di fruire dei contenuti video che l’on demand cavalca la sua onda fortunata. L’esperienza a cui ormai i dispositivi mobili e la connettività pressoché costante ci hanno abituati è quella della visione scorporata da un palinsesto e personalizzata, e in movimento, anche fuori dalle mura di casa. 

Grandi archivi di video, gratuiti o a pagamento, in cui navigare e tra cui scegliere quando e come vogliamo attraverso svariati device mobili, oppure smart Tv. Potremmo farlo, perché no, attraverso uno Svod, termine che sta per subscription video on demand e che rappresenta uno dei modelli di business legati all’audiovisivo di maggior successo negli ultimi tempi, tanto da scalzare le pay-tv classiche come Sky, che già presupponevano una forma di abbonamento per la visione dei video. È tempo di Netflix, Dazn, Disney+, Amazon Prime Video, le piattaforme oggi più note, che offrono archivi di contenuti tra cui anche prodotti originali. 

A fianco allo Svod c’è poi anche l’Avod, ovvero Advertising-based video on demand: RaiPlay è forse l’esempio più noto e utilizzato di questo modello di business basato sull’offerta di contenuti video già trasmessi sulle reti tv e proposti in streaming gratuito grazie alla presenza della pubblicità prima del video. 

Pop-corn o tecnologia? 

Le sale cinematografiche festeggiano simbolicamente il ritorno a una sorta di normalità con la riammissione dei pop-corn in sala a marzo 2022, ma l’esperienza della pandemia non è passata senza lasciare tracce nel mondo dell’audiovisivo. Quante sono state le anteprime di film che, costretti a non poter uscire in sala, sono state lanciate su piattaforme on demand, magari con un sovrappiù rispetto all’abbonamento standard a una delle tante piattaforme diffuse? Il grande cinema si è trasferito così sul divano, il tutto grazie a una tecnologia di trasmissione che viaggia attraverso server, scaricando pacchetti di dati durante la visione del contenuto video con risultati fluidi e di qualità. Proprio come Youtube. Ma chi paragonerebbe mai Youtube, per quanto capillare e potente, all’emozione della sala buia? 

Il paragone, forse, non ha nemmeno senso se si riflette sulla diversità di paradigma: legato al luogo e all’orario il cinema, scorporato da agganci spazio-temporali l’on-demand, che scavalca il modello “a palinsesto” cui la tv ci aveva abituati, adattandosi e tempi, bisogni e dispositivi. 

Secondo il Digital Consumer Trends Survey 2021, il fenomeno dell’on demand sarebbe cresciuto sull’impulso dell’onda pandemica e si legherebbe in particolare alla generazione Z. Non è da sottovalutare, però, l’impatto dello sport, con l’allargamento dei servizi di streaming dedicati. 

Dove porta il futuro?

Il Sole 24 ore cita dati secondo cui, al 31 ottobre 2021, in Italia si contavano 13,7 milioni di abbonamenti alle piattaforme di video on demand (Vod) a pagamento. Un trend esplosivo in un panorama che, complice da un lato la precarietà emergenziale e dall’altro la fluidità e velocità del mondo tecnologico, non sembra intercettare battute d’arresto. Per contro, sempre il maggior quotidiano economico italiano segnala un allarme “profondo rosso” per gli ingressi nelle sale cinematografiche a seguito del covid. Un impatto “fragoroso”, con “un decremento del 71% degli incassi e del 73% delle presenze rispetto alla media del triennio 2017-2018-2019”. 

Pop corn o tecnologia? Alcune vecchie abitudini ritenute forme di riti sociali, sono ormai definitivamente mutate, trasformando il momento della visione del film in sala in una serata di visioni dal divano e on-demand, a scapito di un’abitudine consolidata e collettiva. Anche questo è un trend significativo, che bisognerà monitorare alla luce dei dati di mercato e della situazione emergenziale. Certo è che ormai non sarà più possibile sfuggire a una necessaria regolamentazione delle modalità di fruizione, con regolazioni ad hoc per le sale e analoghe normative per le piattaforme on demand.