Pensiero creativo Vs algoritmi: chi fa il cinema oggi?

Creatività, intelligenza artificiale e cinema: hai mai ragionato più a fondo su cosa hanno a che fare queste parole con i termini diritto d’autore e copyright? Cerchiamo di fare chiarezza innanzitutto proprio sulle definizioni: sono loro la chiave per approfondire il grande e spinoso tema dei diritti d’autore nel mondo del video, che sta agitando l’industria cinematografica più o meno in tutto il mondo perché sembra mettere in pericolo quella scintilla creativa che è poi alla base di ogni progetto artistico capace di dirci qualcosa di nuovo. 

Diritto d’autore e copyright: che differenza c’è?

Non siamo giuristi, ma proviamo ugualmente a spiegare perché non possiamo usare i termini diritto d’autore e copyright come sinonimi. Beninteso: il contesto è il medesimo, ma le differenze che si aprono tra i due concetti sono tali da fare la differenza. Quando parliamo di diritto d’autore, ci riferiamo alla paternità dell’opera, che potrebbe restare chiusa nel famoso cassetto e non essere mai fatta circolare. Questo diritto – appunto – appartiene all’autore, e fa sì che possa disporre in modo esclusivo della propria opera e impedirne eventuali modifiche, ma anche naturalmente di poterne autorizzare l’uso e riceverne compensi. Per questo motivo, il diritto d’autore include diritti morali ma anche patrimoniali, a cui potremmo collegare il copyright. 

Il copyright – letteralmente diritto di copia – si riferisce infatti al diritto di sfruttamento commerciale dell’opera da parte dell’autore, garantendo così che sia l’unico a poterla sfruttare.  Il copyright fa sì che tutti i diritti dell’opera siano riservati: chi dovesse usare in modo improprio l’opera, si collocherebbe fuori da questa regolamentazione, che nasce per tutelare gli autori da usi impropri delle proprie opere. 

Questione di prospettiva

Si tratta naturalmente di considerare da diversi punti di vista i diritti e la proprietà dell’autore. La storia del diritto d’autore nasce nel 1791 grazie all’autore del Barbiere di Siviglia, Beaumarchais: all’epoca il diritto era sia morale che patrimoniale, una realtà che garantiva all’autore uno sfruttamento economico, e di conseguenza anche una certa libertà creativa. Le radici del copyright sono invece britanniche, e si trovano già intrecciate dalla nascita allo sfruttamento editoriale, non all’autore. 

Questa considerazione ci porta all’attualità, in un panorama dove la prospettiva pare sbilanciarsi sempre più dall’autore, dalla sua centralità e dal suo potenziale creativo (da cavalcare economicamente, ça va sans dire) all’editore, a discapito di quel gioco così necessario all’arte. Soprattutto in campo audiovisivo – gli scioperi e le proteste degli ultimi anni lo evidenziano – il manico del coltello sembra essere tra le mani delle grandi aziende a capo delle piattaforme di streaming. La prospettiva si è insomma sbilanciata verso l’introito economico a netto sfavore della libertà creativa degli autori. Capitano così episodi fastidiosi e scorretti come sceneggiature modificate senza il consenso degli autori, per andare incontro all’orientamento dell’audience, cambi di montaggio, cast imposti dall’alto, colonne sonore che di originale non hanno più nulla. 

A che film stiamo giocando?

Tutto questo ha forti ripercussioni sul valore del lavoro di ogni singola maestranza del complesso mondo dell’industria creativa, specie cinematografica. È chiaro che l’intelligenza artificiale e le sue presunte formule creative non aiutano, in tal senso, contribuendo invece a svalutare ulteriormente lavori che sono sempre più sottopagati e non rispettati. Oltre al vincolo economico, c’è anche un vincolo più profondo imposto dal nuovo paradigma “algoritmico”, e ha a che fare con un fastidio molto più subdolo percepito da tutti i creativi, quello che tocca la libertà, messa a repentaglio da scelte orientate solo allo sfruttamento economico. 

Niente è vietato ma, come ben specifica l’articolo di Francesco Ranieri Martinotti su Atlante Treccani, si respira una certa surrettizia inibizione della libertà creativa. Innegabile l’intreccio di logiche artistiche ma anche aziendali, caratteristica che sempre più, con i cambiamenti radicali imposti dal digitale, si riscontra anche in tanti altri campi mediatici, l’informazione per prima. 

Ci avevi mai riflettuto? Oppure ti è mai capitato di dover scegliere tra logica di sfruttamento e spazio per la libertà creativa tua, o del team con cui lavori? Siamo convinti che, proprio per la complessità di queste tematiche, il dialogo sia una delle vie per trovare soluzioni capaci di ascoltare tutte le campane, e per questo di approdare a risultati che sappiano sposare insieme il giusto ruolo degli autori (sceneggiatori, registi, direttori, compositori…) con un successo commerciale che, del resto, è spesso la chiave di volta per nuovi progetti creativi.

Se ti va di farci conoscere la tua opinione e di condividere esperienze, o di trovare soluzioni insieme, contattaci! Da un paio di chiacchiere possono nascere grandi idee, e grandi progetti creativi!

La tax credit per il cinema: un’estate di novità in arrivo

Il Ministero della Cultura  ci ha lavorato a lungo e ora la Direzione generale cinema è pronta a lanciare le modifiche al nuovo tax credit per il cinema e l’audiovisivo. A giorni, a quanto annunciato da direttore Nicola Borrelli, su  Cinematografo, dovrebbero essere approvate le modifiche contenute nella bozza già resa nota ai vari Ministeri coinvolti.  Secondo il sottosegretario Lucia Borgonzoni, che lo ha dichiarato poco tempo fa al Sole 24 ore, l’idea è quella di avere il nuovo regolamento in funzione già per l’estate 2024. 

I crediti di imposta e l’industria del cinema italiana 

Come spiega il sito della Direzione, “i crediti di imposta sono una compensazione dei debiti fiscali e previdenziali delle imprese, calcolata automaticamente sulla base dei costi sostenuti per lo sviluppo, la produzione, la distribuzione nazionale e internazionale di film, opere tv, opere web, videogiochi e per l’apertura o ristrutturazione di sale cinematografiche, per i costi di funzionamento delle sale cinematografiche e per le industrie tecniche”. I tax credit previsti dalla legge sono quelli per lo sviluppo, la produzione, la distribuzione nazionale, l’esercizio (quindi le sale cinematografiche), le industrie tecniche e di post-produzione e i videogiochi. 

Ma da cosa nasce l’esigenza di una nuova regolamentazione per chi lavora nel cinema? Si tratta di un provvedimento che tocca da vicino soprattutto il mondo della produzione nostrana: la tax credit ha infatti accompagnato la crescita del cinema italiano portandolo ad altri livelli. Come esplicitato dal Sole 24 ore nell’articolo che abbiamo già citato, se si va a indagare sulle richieste per la tax credit si scopre un’ingente richiesta per “Memorie da Mexico city” di Luca Guadagnino (17,8 milioni), per  “Finalmente l’alba” di Saverio Costanzo (l’erogazione più alta finora, con 9 milioni), e che anche film di successo come “Comandante”, “Io Capitano” e l’acclamato “C’è ancora domani” hanno potuto usufruire del tax credit. 

Aspettando il decreto: qualche novità

Insomma, le risorse di questo strumento sono considerate di importanza centrale, da qui una certa forma di apprensione per la riforma annunciata. Riforma che, tuttavia, dovrebbe guardare a un generale riordino del sistema finalizzato all’ottimizzazione, e alla durata: la speranza è che si approdi a un panorama più o meno stabile, con normative che possano restare in vigore almeno per un triennio. Questo è quanto auspicano i promotori. 

A quanto ricostruito dal Sole 24 Ore, nel decreto interministeriale ci sono varie novità che riguardano l’intelligenza artificiale, ormai protagonista indiscussa dei dibattiti nell’industria creativa, ma anche temi strettamente connessi al lavoro, agli appalti e alla trasparenza. Verranno distinte opere “a mercato” e opere beneficiarie di “contributi selettivi”, contributi cioè per opere prime e seconde, di particolare qualità artistica o che raccontano eventi e personaggi dell’identità culturale italiana. A ciascuna tipologia spetterà un iter differente. La riforma toccherà anche le percentuali di crediti in forma diversa a seconda proprio delle tipologie di opere. 

La normativa sarà molto dettagliata e specifica per ciascuno dei settori che abbiamo citato prima. Se lavori nel mondo del cinema e dell’audiovisivo ti sarà già nota, ma ricorda che puoi sempre fare riferimento a specialisti del settore che sappiano aiutarti. Anche informarsi sul panorama normativo fa parte delle curiosità che rendono unico il nostro lavoro. Ancora non ci conosci? Scopri il mondo di RECTV e quello che possiamo fare per te, dalla produzione video al web, troviamo la soluzione giusta insieme! 

Video e intelligenza artificiale

Il 21 aprile è la Giornata mondiale della creatività e dell’innovazione! La ricorrenza, riconosciuta dalle Nazioni Unite, è stata istituita nel 2001 in Canada per omaggiare il mondo della creatività, fatto di invenzioni che hanno cambiato la storia del mondo. Creatività infatti significa anche innovazione: è proprio la creatività che permette alle nuove idee di farsi strada nella complessità sempre maggiore del mondo in cui viviamo. Ma come la mettiamo quando innovazione significa intelligenza artificiale? Che ruolo svolge, nei confronti di una tecnologia così pervasiva, la creatività? Ce lo siamo chiesti riflettendo su uno dei linguaggi che ci riguarda più da vicino, quello dei video, nell’ambito del quale l’intelligenza artificiale sembra poter attualmente sostituire largamente la creatività umana. Ma è davvero così?

Intelligenza artificiale Vs content creation

Lo sappiamo: intelligenza artificiale Vs content creation, questo è l’imperativo che i recenti grandissimi sviluppi delle AI generative ci hanno prefigurato. Abbiamo misurato – e ci siamo stupiti moltissimo guardandoli – i risultati di queste tecnologie e i più pessimisti hanno pensato che rappresentassero l’ultimo capitolo della creatività. “Fa tutto l’intelligenza artificiale” abbiamo esclamato stupiti davanti ai fenomeni ChatGPT e Midjourney, autori rispettivamente di sceneggiatura e di immagini di tanti video. Per non dire della pericolosità con cui questi strumenti stanno entrando nell’infosfera confondendo i confini tra verità e finzione. Come ben individuava Wired a proposito di velocità con cui l’AI migliora la propria tecnologia e viene utilizzata anche nel mondo video, “l’accesso diffuso a questa tecnologia e la sua sofisticazione ci stanno costringendo a ripensare al modo in cui consideriamo le immagini online”.
La verità è che l’intelligenza artificiale è davvero potenzialmente pericolosa, ma come tutte le cose complesse ha più facce, ed è anche utile. Come strumento, però, non come soluzione facile e comoda. Ogni tecnologia, proprio perché frutto di innovazione, ci consegna infatti nuove potenzialità per aiutare la nostra creatività e il suo sviluppo: succede anche per la creazione di video. Perché allora non cambiare prospettiva e guardare alle opportunità dell’innovazione? L’intelligenza artificiale, per esempio, potrebbe velocizzare processi lunghi come l’editing o il montaggio. Alleggerire e semplificare questi passaggi grazie al frutto dell’innovazione umana non potrà che agevolare la creatività, liberandoti da operazioni meccaniche.

Sfruttare l’intelligenza artificiale

Se realizzi contenuti video, quindi, non farti intimidire dall’innovazione, ma prova a cavalcarla per rendere i tuoi progetti ancora più originali ed efficaci. Sono davvero svariate le applicazioni di AI che potrebbero aiutarti in tanti e diversi livelli del processo creativo. Testi, lingue, avatar, musica, editing, didascalie… l’intelligenza artificiale è tua amica se usata per ottimizzare. Questo non significa delegare la creatività agli algoritmi, ma l’esatto contrario: darle in pasto le operazioni più “noiose” o meccaniche, accrescendo il tempo dedicato alla strategia che, come ci piace ricordare sempre, è il primo vero e indispensabile gradino per impostare una corretta comunicazione. Il video, lo sappiamo bene, non passa mai di moda e grazie all’effetto congiunto di innovazione e creatività potrai pensare a strategie sempre più ottimizzate, perfette per supportare i tuoi progetti.
Puoi partire da AI gratuite e applicazioni più semplici, e poi progredire fino a programmi avanzati fino a personalizzare al massimo i tuoi video. Non sai da che parte girarti? È normale: la tecnologia è sempre più veloce, ma noi la inseguiamo: contattaci per studiare insieme la migliore strategia di ottimizzazione video, troveremo insieme la soluzione adatta alle tue necessità!

Sanremo: il Festival che parla giovane

Tutti cantano Sanremo! Soprattutto i giovani, aggiungiamo noi. Come come? Ti sembra un’affermazione strana? Mentre si avvicina la serata di inizio della settantaquattresima edizione della manifestazione mediatico-musicale più amata d’Italia (e non solo!), e mentre aspettiamo anche noi con curiosità di tuffarci al Teatro Ariston di Sanremo con Amadeus e scoprire chi dirigerà l’orchestra, ci siamo trovati a riflettere sulla centralità che una manifestazione come il Festival della Canzone Italiana di Sanremo ha nel grande e complesso mondo della comunicazione. 

È come un Moloch che, con la sua potenza, si rinnova ogni anno, catalizzando l’attenzione delle case discografiche, della stampa, dei brand, e mastica e rinnova strategie e tendenze, creando nuovo “buzz”, lanciando tendenze, polemiche, meme… Tutto quanto utile per diventare una vetrina che per cinque serate, e ben oltre, si offre a un bacino enorme di utenti incollati agli schermi di tv e smartphone. 

Il pubblico che si allarga 

Uno dei dati più attesi dai giornalisti delle sale stampa festivaliere è quello relativo ai numeri del pubblico, dallo share ai target coinvolti. Carta canta: negli ultimi anni, e in particolare con il contributo della direzione artistica di Amadeus, il Festival di Sanremo ha profondamente rinnovato la sua narrazione e le sue strategie digitali. Sono fattori che si accompagnano: il Festival è cresciuto sulle piattaforme social, e per farlo ha dovuto imparare e proporre nuovi linguaggi. Esattamente quelli utili per ingaggiare nuove fette di pubblico. I dati Auditel raccontano della crescita del pubblico tra i 15 e i 34 anni, forse il target più interessante considerato il coinvolgimento social. Sono loro che hanno fatto segnare il 53% di share nel 2019 e che hanno avuto un’ascesa inarrestabile arrivata al picco del 73% nel 2023. 

Cambia lo storytelling, la strategia diventa pluricanale, e il Festival, da prodotto tipicamente televisivo, si conferma oggi un format seguito da quasi ogni fascia di età su tantissimi dispositivi diversi e in un periodo di tempo che scavalca la classica settimana all’Ariston. Amadeus è riuscito nella magia: ha intercettato i giovani sui social e li ha portati dentro la grande macchina festivaliera. Certo, il fenomeno è agevolato – e a sua volta amplificato ulteriormente  – da fenomeni paralleli che fanno “buzz” intorno al Festival. Uno su tutti? Il Fantasanremo, che spicca tra i tanti pretendenti perché si tratta di un’iniziativa nata dal basso, essenzialmente giocosa e leggera, che incentiva la partecipazione in squadre. 

Dal Fantasanremo alle classifiche

Anno dopo anno, forte dei nuovi pubblici, il Fantasanremo è diventato riconoscibile come fenomeno a sé e ha segnato anche tanti record. Anche in questo caso, tutto si mescola e il fuori e dentro al Festival non contano più: ogni cantante in gara attira bonus o malus a seconda dei propri comportamenti e performance durante l’esibizione, ma ne succedono di ogni anche fuori dal format specificamente televisivo, con appelli e siparietti che rimbalzano tra i social e le svariate iniziative in città. 

E se il Fantasanremo non è che una classifica basata sul punteggio di una gara speciale, ci sono poi le classifiche vere, quelle tenute d’occhio dalle case discografiche. Non è difficile immaginare, scorrendo la lista dei partecipanti del Festival 2024, la precisa intenzione di inglobare i nuovi target di pubblico, le tendenze più in voga, artisticamente, musicalmente, persino tematicamente, e così le nuove tematiche sociali che circolano nell’opinione pubblica e sui media. Succede anche e soprattutto grazie alla partecipazione di cantanti giovani e che piacciono ai più giovani. Un fenomeno passeggero? Tutt’altro: sono sempre i giovani cantanti a dominare le classifiche anche ben oltre il periodo festivaliero. Segno che il grande Moloch ha centrato l’obiettivo. 

Come gira la musica giovane

Ebbene sì: Sanremo, totalmente svecchiato – o quasi! – è un appuntamento decisivo per il mercato discografico. E, come abbiamo visto, a questo aspetto hanno contribuito anche le nuove strategie di comunicazione e lo storytelling. A confermarcelo sono i dati della Fimi, la Federazione dell’industria musicale, secondo cui l’effetto streaming che deriva dalla nuova narrazione del Festival e dal suo nuovo pubblico giovane è un fenomeno di vivo interesse per le case discografiche. Come ben sottolinea Ansa, il ricambio generazionale è evidente: “tra il 2019 e il 2023 la media dell’età degli artisti in top ten è infatti scesa del 18%, passando da una media di oltre 36 anni a una di 29.9 nel 2023”. 

Che cosa dicono le classifiche? La stessa cosa: “per tre anni consecutivi sono stati presenti gli artisti che hanno conquistato il primo posto per l’album più venduto nella classifica annuale – Rkomi (Taxi Driver, 2021), Lazza (Sirio, 2022) e Geolier (Il coraggio dei bambini, 2023)”. Che cosa aspettarci dunque dal 2024? Considerato il cast, ricchissimo e variopinto, la tendenza non si discosterà dagli anni precedenti: si va verso il mercato e le sue preferenze di ascolto. A confermarci che Sanremo è mutato pur rimanendo sempre al centro della dieta mediatica italiana (e pensare che tutto nacque nel 1951 senza nemmeno la tv!) sono gli ascolti in streaming: i dati ci raccontano che i brani in gara al Festival 2023 hanno superato per la prima volta il miliardo di riproduzioni, in netto rialzo dal 2020 in poi. Cosa ci dobbiamo aspettare da questo 2024?

Sistemiamo le casse e prepariamo i click quindi: ne stiamo per ascoltare delle belle! Se la dinamica di successo delle strategie sanremesi ti ha fatto pensare alla tua attività e a come provare azioni simili intrecciando storytelling, canali digitali e creatività, tra una canzone e l’altra non dimenticare di dare un’occhiata ai nostri servizi e, se ti va, di contattarci per una prima chiacchierata alla scoperta delle mosse giuste per scalare la classifica! 

Quando comunicare può fare male: qualche nota sul caso Chiara Ferragni

Lo avevamo “predetto” parlando dei trend da aspettarci per il 2024: avremo ancora sentito parlare di influencer marketing. E infatti eccoci qui a cercare di tirare le somme, al netto di novità in agguato, sul “caso Ferragni”, che popola le cronache digitali e non solo dallo scorso dicembre 2023. Tutto è partito, in pieno stile natalizio, da un panettone. Dopo lo scandalo che ha coinvolto Chiara Ferragni e un noto marchio dell’industria dolciaria (ti lasciamo qui il link a un utile riassunto di Fanpage), tantissimi brand sono fuggiti dalla galassia creata come un vero impero dall’influencer.
La storia avrebbe dovuto chiudersi, con qualche ammaccatura, grazie a un ormai noto video dove Ferragni si scusava, donando un milione di euro all’ospedale Regina Margherita di Torino. (Donazione, peraltro, arrivata davvero all’istituto torinese dopo l’annuncio). Invece no. Lo scorso 10 gennaio l’Agcom ha sanzionato l’influencer stellata, la cui ascesa, contornata di una straripante popolarità, era già stata bruscamente frenata.

Tutti fuggono dalla Ferragni

I numeri restituiscono l’impatto dell’evento, a testimonianza del fatto che l’onda di un errore di comunicazione può continuare a fare danni. Un vero e proprio tsunami capace di far crollare un edificio costruito su un’immensa fortuna, ma con qualche piccolo neo al suo intero che, una volta uscito allo scoperto, ha creato una frattura. Ci ricorderemo infatti di questo “evento comunicativo” perché, ahinoi, legato al tema della beneficienza, sul quale ci aspetteremo, come utenti, consumatori e cittadini, maggiore trasparenza, ma al di là del giudizio etico ce ne ricorderemo anche come caso studio, perché sta impattando fortemente sulla strategia di Ferragni.
Alcuni brand, fin dalle prime avvisaglie del terremoto, hanno deciso di recedere i contratti di collaborazioni con il brand dell’influencer. A loro volta si sono influenzati, agitando un movimento simile a quello di una valanga: decisione chiama decisione, ed è così che da un piccolo-enorme errore si è generata quella che a buon titolo possiamo definire una crisi in pieno stile. Pare infatti che in seguito alle vicende e ai fatti giudiziari l’account di Chiara Ferragni abbia perso circa 210mila followers. In parallelo anche quello del marito Fedez, quasi come per una teoria dei vasi comunicanti, ha subito un notevole contraccolpo con una perdita di 119 follower.

 

Ma chi segue davvero Chiara Ferragni?

Fuga dei brand, fuga dei follower: tutti fuggono dalla Ferragni? Italian Tech di Repubblica propone un’accurata analisi dei follower presunti falsi o inattivi di Chiara Ferragni, un fenomeno che, se sugli account della più nota influencer italiana assume oggi dimensioni enormi con tutte le ricadute concrete del caso, è tuttavia diffuso da sempre. Siamo certi che anche tu abbia già sentito parlare di acquisto di follower, di finti account e di fenomeni simili. L’articolo che citiamo sopra approfondisce bene il caso: “Davvero il 40% dei follower che seguono la più nota fra le influencer italiane sarebbero fake, dormienti o inattivi? E se fossero il 50% o addirittura più del 60%? Non si sa” spiega. La verità è che non abbiamo strumenti per saperlo, e così non possiamo nemmeno smentirlo o no. L’articolo di Repubblica ci aiuta insomma a capire che quando parliamo di follower finti, come nel caso Ferragni, siamo molto vicini a un terreno che sa di fake news, e che non è certo questo computo numerico a rivelarci cose interessanti sulla qualità o meno dei contenuti dell’influencer in questione, tanto meno sulla gestione della crisi.
I numeri però sono il nutrimento delle piattaforme social, ed è proprio su questo campo che anche “l’affaire Ferragni” si è svolto, con tutto il suo contorno di sedicenti articoli giornalistici o news dedicati al crollo verticale dei follower seguito al caso di mala comunicazione con relativo scivolone sulla brand awareness. Ci sembra che l’attenzione vada tenuta accesa non tanto quindi sulla falsità degli account – un dato che, abbiamo visto, è scarsamente verificabile – quanto piuttosto sul risultato clamoroso di un errore comunicativo, capace di far voltare le spalle a tantissimi potenziali clienti. Questo è un palese errore di strategia, e a noi che lavoriamo con la comunicazione dovrebbe indicare molte strade da percorrere, e altre da abbandonare.

Il post-Ferragni: verso un nuovo modo di essere influencer?

Cosa dedurre dal clamoroso affaire Ferragni? AdnKronos cita le parole di Andrea Scotti, Country Manager di Skeepers Italia: “Associare la propria immagine a personaggi noti del web e dell’entertainment può non essere sempre la strategia più vincente per raggiungere i propri obbiettivi di marketing. Se da un lato permette di veicolare prodotti e servizi a un ampio pubblico, dall’altro aumenta il rischio di incorrere in gravi danni di immagine che possono compromettere la credibilità del brand stesso”. Attenzione, quindi, a non cadere nel tranello dei numeri: una fan base più ristretta, ma coltivata nel segno della trasparenza, potrebbe a lungo termine rispondere meglio di fenomeni giganteschi come quelli che si agitano intorno al mondo Ferragni.
Che questa vicenda segni un cambio di atteggiamento nel mondo dell’influencer marketing? Forse è troppo presto per giudicarlo, ma di sicuro il crollo di una grande fetta della montagna Ferragni ha aperto lo scenario a tanti piccoli creator che, con fatica e con l’aiuto di corrette strategie costantemente monitorate e riviste, si raccontano e propongono prodotti e servizi a follower sinceramente coinvolti. Ti ritrovi in questo ritratto e ti spaventa l’idea di progettare una strategia perché hai paura di non sapertela cavare e di generare disastri come nel caso di Chiara Ferragni? Possiamo garantirti che non è il tuo caso!

Ma se hai bisogno di una consulenza mirata ai tuoi obiettivi, noi siamo qui per aiutarti a comunicare i tuoi servizi e prodotti nella maniera migliore. Contattaci, progettiamo il tuo nuovo anno insieme!

Il 2024 della comunicazione: quali saranno i trend del nuovo anno?

Ogni anno la stessa storia: tutto cambia, nuove tecnologie si affacciano all’orizzonte e nuovi trend intrecciano le nostre strategie e i nostri piani per la comunicazione facendoci interrogare sul futuro e rimettere mano ai nostri piani. Come fare in questo 2024 alle porte? La soluzione è sempre uguale, anno dopo anno: bisogna stare attenti, monitorare costantemente l’ecosistema della comunicazione digitale e i suoi trend e aggiornarsi senza sosta per allenare il fiuto, sempre all’inseguimento di nuove tendenze e linee di pensiero che ci aiutino a programmare e riassettare anche il nostro lavoro.
Cosa ci riserva dunque il nuovo anno? Sarà un 2024 nel quale sentiremo ancora parlare di intelligenze artificiali generative, di influencer e di contenuti. Niente di così sconcertante, visto? Ma scendiamo nei dettagli.

Tecnologia, che sorpresa!

Potrai obiettare ricordando che nel 2022 c’è stato un evento tecnologico e digitale che ha stravolto il nostro modo di pensare al web e alle tante professioni che lo popolano, tutte in qualche modo orientate alla comunicazione. Parliamo del lancio ufficiale di Chat GPT, il 30 novembre del 2022. Chi, tracciando i trend di quell’anno, avrebbe mai potuto aspettarsi qualcosa del genere? Forse nessuno, o forse qualcuno di estremamente informato e attento ai fatti intorno a sé. È vero: la tecnologia ci può spiazzare con ritrovati ancora mai visti, ma l’esempio dell’intelligenza artificiale, che ha causato un così grande scossone a tutti noi, è anche un segnale che ci invita a un comportamento da tenere sempre attivo e sveglio. Studiare, aggiornarsi, essere curiosi! Nessun trend meglio di questo potrà garantirci di stare al passo con il contesto digitale che abbiamo intorno, nemmeno nel 2024 che sta per aprirsi!

E se nel 2022 ci ha spiazzato, oggi abbiamo iniziato tutti a prendere confidenza con l’intelligenza artificiale: c’è chi prova a imparare come “addestrarla” e la piega ai propri fini, ma c’è anche chi prova a lucrare, ed è per questo che stanno iniziando a fioccare le prime iniziative legislative. È insomma un mondo ancora in costruzione, sul quale continueremo anche durante il 2024 a tenere gli occhi aperti per capire cosa succede e cosa potrà accadere, cercando di proteggere la nostra professionalità di comunicatori e di integrare le potenzialità offerte dalla tecnologia nei nostri servizi, migliorandoli e rendendoli più competitivi. 

Chi ci influenzerà nel 2024?

Ebbene sì: non smetteranno di essere quello che sono. Chi? Gli influencer, un settore ormai radicato nel mondo digitale, in costante ascesa e destinato a coinvolgere nuovi soggetti, desiderosi di lanciarsi sul mercato e aprire una propria finestra di visibilità. La chiave dell’influencer marketing è proprio la garanzia di una presenza, una bandierina sventolante posta lì, dove un pubblico più vasto e, potenzialmente, un numero più alto di futuri clienti potrà scoprire noi e i nostri servizi. Che il tema sia scottante ce lo sta insegnando la vicenda di Chiara Ferragni: la più nota influencer italiana è stata coinvolta in un caso di cattiva comunicazione che la cronaca nei tg di questi giorni ci sta raccontando, facendoci percepire con mano la centralità – e la delicatezza – di questo canale di comunicazione.
Come integrare il mondo degli influencer nelle nostre strategie nel 2024? Ragionando come sempre su progettualità e obiettivi, e approfondendo il cuore di questo modo di fare business, cioè il tema della fiducia. Come svilupparla nella nostra community? E come, anzitutto, costruire una community? Sono tutti temi di grande attualità, trend che non smetteranno di accompagnarci nel nostro lavoro anche nell’anno nuovo.

Se sei curioso di parlarne e vorresti approfondire la tua strategia di comunicazione nell’ottica dei nuovi trend 2024 (che in realtà, come abbiamo visto, nuovi non sono affatto!) non esitare a contattarci: troveremo insieme la strada giusta per il tuo nuovo anno di buona comunicazione e obiettivi raggiunti!

Dalla TV al video streaming: il caso “Mare fuori”

Netflix parla anche in italiano, lo sanno bene tutti gli appassionati spettatori di serie come “Mare fuori”, il prodotto che più di tutti gli altri italiani ha fatto registrare un successo paragonabile a quello di serie di punta internazionali. La fiction rappresenta un caso studio molto particolare per tornare a parlare di video e di streaming analizzando nuove dinamiche di comunicazione e distribuzione che hanno coinvolto anche serie ritenute “classiche” della tv nazionale, da guardare sul divano in famiglia. Sapevi che Netflix offre in catalogo anche altri titoli storici di Rai e Mediaset? “Don Matteo”, per esempio, “Un medico in famiglia”, “I Cesaroni”…

Ma cosa possiamo dedurre dal successo della serie che più di tutte ha evidenziato il potere del video streaming e del suo pubblico, e quale panorama ci presenta questo esempio per raccontarci il costante cambiamento del mercato dell’audiovisivo?

La storia di “Mare fuori”

“Mare fuori” è un prodotto pensato da Rai Fiction per Rai2, la rete dedicata a un target più giovane, che possa svecchiare la paludata platea del servizio pubblico italiano. La prima serie di “Mare fuori”, composta da 12 episodi di un’ora, va in onda regolarmente, in tv, dal settembre 2020 ottenendo un discreto successo. Successo che per certi versi è inaspettato: nonostante il target, i dati dimostrano che l’interesse può essere esteso anche a platee più generaliste, e puntata dopo puntata lo share cresce (ci stiamo riferendo ai dati che riporta Cinematografo, citando a sua volta dati elaborati da CeRTA su numeri Auditel).

Nell’autunno 2021 va in onda la seconda stagione e registra un significativo aumento del target di giovani, sul quale si innesta l’azione della piattaforma regina dei video on demand, Netflix. Il fenomeno comunicativo è interessante e parte da un accordo commerciale stretto tra Rai e la piattaforma per le prime due stagioni. La serie entra quindi nel catalogo Netflix come si entra in un acceleratore: “Mare fuori” inizia a essere sempre più cercato, fino ad accedere alla top ten delle serie italiane, e poi a quelle estere! Il decollo è notevole e fa librare in alto nelle classifiche di gradimento la terza stagione, che parte nel 2023: un vero e proprio trampolino di lancio insomma, che proietta lo streaming della serie su cifre mai viste

Passaparola o non solo? 

I dati ci raccontano del tentativo della Rai di sperimentare nuove strategie di distribuzione per testare le reazioni del pubblico e capire meglio le dinamiche del mercato del video on demand. La serie parte infatti sui canali classici, ma è anticipata anche su Rai Play, dove raggiunge un dato record: un ascolto medio di oltre tre milioni di persone. Come scrive Cinematografo, si tratta del “primo, grande successo per un prodotto originale italiano di fiction fuori dal perimetro della programmazione televisiva tradizionale”.

Che sia merito solo della nuova modalità di distribuzione a mezzo streaming? La questione è più complessa, come ci dimostrano casi analoghi legati al crescente successo di video che rimbalzano tra dinamiche web, scelte di contenuto e fruizione. Su “Mare fuori” si è probabilmente generato un effetto mediatico particolare in cui ha avuto un ruolo di spicco la distribuzione, certo, ma anche il passaparola social. Segno che, come ci piace ricordare, una buona strategia di comunicazione deve stare attenta a dettagli e dinamiche differenti per armonizzarli insieme e doppiare così con successo il proprio obiettivo. 

I più cattivi sostengono che sia stata proprio la Rai a non promuovere adeguatamente il prodotto, così che il suo “caso” esplodesse solo una volta approdato su Netflix. È anche vero il contrario, e cioè la capacità di Rai di sfruttare l’incremento sulla piattaforma per portare pubblico su RaiPlay. Il successo della terza stagione di “Mare fuori”, con oltre 105 milioni di visualizzazioni in solo un mese su RaiPlay, racconta di come Viale Mazzini abbia “acceso la miccia” fuori da casa propria, riuscendo tuttavia ad attirare poi il pubblico sui propri canali

Evoluzione del mercato, innovazione tecnologica, ma anche comunicazione: c’è un intreccio di fattori dietro l’ascesa di “Mare fuori”. È un fenomeno da non sottovalutare, evitando di gridare al miracolo o all’incapacità dei soggetti coinvolti, e concentrandosi invece sull’analisi di tutte le sfaccettature che abbiamo cercato di evidenziare. Il target, da non dare mai per scontato, la qualità del prodotto, la distribuzione, ma soprattutto l’intera strategia di comunicazione nella sua complessità. Studiata a tavolino o meno, è stata certamente la modalità di presentazione e comunicazione della serie a coronarne il successo. 

Cosa dici, è tempo di dedicarti a una corretta strategia di comunicazione per fare il grande salto? Siamo a tua disposizione per costruire una comunicazione ad hoc e fare del tuo brand e dei tuoi prodotti la nuova “Mare fuori”! 

Netflix: Questione di sostenibilità, o c’è dell’altro?

Sarà capitato anche a te: condividere l’account di Netflix con amici, cugini, o persone con le quali veniva comodo dividere i costi dell’abbonamento, o semplicemente alle quali ti faceva piacere dedicare il favore. Ora la policy della più nota piattaforma di streaming online è cambiata, e così le regole sulla condivisione della password e i piani tariffari proposti. Questione di sostenibilità, o c’è dell’altro? Ripercorriamo il fenomeno insieme. 

Era marzo 2023 quando Netflix annunciava il cambiamento implementato poi nel mese di maggio, e cioè: 

  • Gli abbonamenti con account condiviso dovranno fare riferimento a un unico nucleo familiare che usi lo stesso indirizzo IP
  • Il costo mensile varierà, e saranno aggiunte pubblicità per chi ha un unico account

“L’account Netflix è destinato a un unico nucleo domestico, ovvero a te e a chi vive con te” diceva la mail inviata agli abbonati. Chi vive con un abbonato, e usa la stessa rete. Regole che intaccano in modo evidente le abitudini di fruizione. Ma se si hanno amici, parenti lontani, se ci sono di mezzo rotture di coppia? Tutto risolvibile per la piattaforma: o si crea un nuovo profilo, quindi un nuovo “nucleo domestico”, oppure si utilizza la funziona “aggiungi utente”, ma l’azione costa. Per l’esattezza 4.99 euro al mese, a carico di chi sottoscrive l’abbonamento. Nessun cambiamento per i prezzi, se non che con il piano Standard sarà possibile aggiungere un solo utente in più, due con il piano Premium.

In che modo l’azienda capisce che un utente è o meno collegato alla rete familiare? Tramite l’indirizzo IP, per questo Netflix ha invitato a verificare i dispositivi collegati all’account attraverso un apposito link con cui “togliere” chi non facesse parte del nucleo familiare. Un altro dettaglio interessante è che Netflix continuerà a considerare una connessione primaria associata a un account solo guardando almeno un contenuto ogni 31 giorni con uno dei dispositivi collegati. Se, infine, ci si collega da un dispositivo fuori casa, sarà inviato un messaggio di verifica al titolare dell’account. 

Di fronte a uno smisurato ventaglio di contenuti di ogni tipo, costantemente aggiornati a un folle ritmo che sta causando anche ingenti problemi ai lavoratori del settore, le piattaforme hanno sempre proposto i loro prodotti a pagamento, senza disturbo pubblicitario.  “Più di 100 milioni di famiglie condividono il loro account, il che influisce sulla nostra capacità di investire in grandi film e serie TV” si leggeva in un comunicato di febbraio 2023 dell’azienda. Si può quindi pensare che la scelta di impedire la condivisione degli account, o meglio di renderla più complessa, controllandola in modo più stringente, sia stata fatta per motivi di sostenibilità aziendale: Netflix non solo acquista serie, ma le produce, il che implica una maggior forza di investimento. Forza ripagata: Netflix resta la piattaforma di maggior successo attualmente in circolazione. 

L’operazione sugli account appare però una sorta di forzatura di abitudini condivise che si lega a logiche di produzione e che ha il mero scopo di costringere gli utenti utilizzatori a pagare una quota: non si scappa, insomma, l’era delle condivisioni a cuor leggero sembra proprio finita. E se fosse arrivato il momento di ripensare seriamente alle nostre abitudini di utenti di prodotti audiovisivi inserendole in un contesto storico cambiato radicalmente negli ultimi anni? Cosa potremmo raccontarci di noi, della nostra dieta mediatica, del marketing e del sistema di intrattenimento dentro al quale viviamo e dal quale, forse, siamo anche un po’ assoggettati?

Se la sostenibilità nei video è anche la tua prerogativa, contattaci: RecTv è la webagency che si mette a disposizione dei tuoi progetti tagliandoli su misura e strutturandoli insieme a te! 

TikTok e l’evoluzione dei social: dove stiamo andando?

Registra oltre un miliardo di utenti in tutto il mondo: TikTok è una fucina inesauribile di contenuti, mode e creazioni digitali. Non stupisce scoprire che è proprio da questo ambiente in perenne espansione e in costante ridefinizione che continuano ad arrivare trend e influenze capaci di ribaltare le nostre idee sui contenuti e sul loro modo di comunicare e “funzionare” al meglio. Ma in che direzione sta andando la piattaforma, e cosa potrebbe riservarci per il futuro? 

Cercare cose su TikTok

Che TikTok sia terreno d’elezione per la GenZ è confermato non solo dai dati anagrafici, ma dall’esplodere di fenomeni di contaminazione intermediatica che mettono in connessione canali, contenuti e linguaggi diversi proprio attraverso l’azione degli utenti di questa fascia di età. Un esempio? Mare Fuori, la fiction tv campione di ascolti con numeri che si sono riverberati anche sulla piattaforma social, un luogo digitale dove i ragazzi e le ragazze della GenZ sembrano riuscire a comunicare meglio. A confermare questo successo sarebbe anche l’uso sempre più diffuso di Tik Tok come motore di ricerca, alla stregua di Google. La newsletter di Valerio Bassan, Ellissi, parla di un fenomeno legato almeno al 40% dell’utenza: non stupisce che lo stesso TikTok stia prendendo provvedimenti in questa direzione, con l’inserimento di nuove potenzialità per la ricerca.

Un nuovo long form

Fenomeni mediatici e nicchie: le onde modaiole e virali di TikTok sembrano alternarsi tra questi due poli di un unico sistema che, nel giro di pochi anni, si è fatto avanti imponendo i suoi linguaggi anche altrove. Ne sono un esempio i reel di Instagram. È tutto un proliferare di video che sono in genere molto brevi, costruiti per essere comprensibili anche senza contesto, e che saltano da un argomento all’altro con il puro scopo di intrattenere chi sta guardando e farlo restare quanto più possibile sulle piattaforma. E se il trend fosse destinato a cambiare, pur mantenendo la sua capacità di coinvolgimento? TikTok Series è una nuova feature che sembra occhieggiare al long form. Si tratta di una sezione che ospita approfondimenti seriali: i contenuti sono premium e protetti da paywall, e sono generati dai creator per raccontare le proprie idee e storie. 

Ma Instagram non si ferma

Tutto si influenza nel panorama mediatico e digitale, è cosa nota. Per questo anche Instagram non è fermo ad aspettare le prossime mosse di TikTok. Sono due le nuove feature da poco tirate fuori dalla piattaforma nata per le foto e trasformata di recente a misura del mondo video. Da un lato è cambiato l’approccio all’editing: il programma di montaggi per reel è diventato più accessibile e friendly, con tutti gli strumenti a portata di mano e agevolazioni per la scelta dei brani e degli hashtag, ma anche con utili statistiche comode per capire le criticità del montaggio. Dall’altro la novità riguarda i link in bio, che sono diventati 5. Si tratta di una delle funzionalità più attese, specie dai creator professionisti. Un segnale del fatto che Instagram sa ascoltare la sua utenza e non è al solo inseguimento delle strategie del rivale TikTok.

E tu, sai ascoltare il tuo target e individuare dove andrà la tua comunicazione? Raccontaci i tuoi obiettivi, troveremo insieme la strategia su misura per te!

I trend del 2023: cosa aspettarci dal mondo digitale

Non si arresta la corsa degli sviluppi digitali che guideranno anche per questo 2023 i trend della comunicazione online. A farla da padrone nell’anno che si è appena aperto sarà infatti una novità pronta a stravolgere tutti i paradigmi che conosciamo: l’intelligenza artificiale. Come reagiranno aziende, creator e utenti davanti alle sfide del futuro? E quali strade nuove e di successo troverà il marketing? Cerchiamo di leggere tra le righe del futuro che ci aspetta!

I video: un tramonto che non arriverà

Semplicità e velocità, lo diciamo da sempre, sono le caratteristiche che rendono il video uno strumento pressoché immortale. E infatti nemmeno in questo 2023 sembra tramontare il ricorso sempre più frequente alla comunicazione a mezzo video. Se da un lato, con l’avanzamento delle tecnologie, migliorerà la qualità, dall’altro lato è ormai chiaro che chi comunica dovrà obbligatoriamente sviluppare un approccio multicanale. Nemmeno le live tramonteranno: gli streaming resistono infatti come contenuti capaci di aumentare l’engagement del pubblico grazie alla possibilità di interagire in diretta. Tutte queste osservazioni sui trend legati alla comunicazione video portano a immaginare che assisteremo a un calo dei prezzi per la produzione, e a un conseguente allargamento del bacino di utenti che si rivolgeranno a questo tipo di linguaggio, confermandone il successo e la diffusione. 

Chatbot: chi parla?

Da un bel po’ di tempo gli informatici si occupano di chatbot, programmi basati sulla raccolta di dati (aumentata a dismisura oggi, per questo parliamo di intelligenza artificiale) in grado di simulare una conversazione con l’utente e, se interrogati nel modo corretto, fornire informazioni utili. Ai prodromi dell’intelligenza artificiale ci sono proprio i chatbot, già ampiamente introdotti negli ultimi anni nel mondo del marketing per la customer care, con lo scopo di risparmiare tempo rendendo automatici diversi processi. Che la rapidità sia uno dei pilastri su cui si basa l’attuale panorama comunicativo non è una novità, ed è in tale direzione che andrà anche l’intelligenza artificiale di cui i chatbot sono solo un primo limitato esempio impiegato in processi di automazione. In futuro l’immensa mole di dati a disposizione e le nuove tecnologie raffinate dell’intelligenza artificiale potranno riguardare anche contenuti come testi, immagini e video. Sarà d’obbligo stare attenti alle novità!

Intelligenza artificiale, esperienza umana!

Tra le strategie che individuiamo nel futuro ci potrebbe essere un progressivo adattamento a tecnologie avanzate di intelligenza artificiale che guardino sempre più all’esperienza utente e alla sua capacità di coinvolgimento, personalizzando quindi la comunicazione. Ma attenzione! Tutto il rumor sull’intelligenza artificiale e le sue potenzialità non farà che aumentare il chiacchiericcio intorno a queste tecnologie, con dibattiti e con un monito sempre valido, da quando esistono i giornali: il fact-checking è importante, anche se viviamo in un mondo frenetico! Lo stesso principio vale per i canali social, che resteranno capisaldi in ottica multicanale però, con contenuti solidi in grado di costruire con gli utenti delle vere relazioni, e non solo un effimero engagement. 

 

Insomma, l’esperienza utente sembra essere al centro delle tendenze comunicative che caratterizzeranno l’anno nuovo, sia in termini di processi automatizzati, e per questo rapidi e ottimizzati, sia per facilità d’uso, soddisfazione e quindi fidelizzazione.  E tu hai già pensato a come prepararti per le sfide che i nuovi trend lanceranno alla tua comunicazione? Ti aspettiamo per parlarne insieme!